Qualche mese fa, dopo una serata passata a divertimi con belle amicizie, qualcuno, che ancora non mi conosce, ha messo in dubbio la mia scelta di vivere da diversi anni in paese, dopo aver vissuto per una vita a Roma. “Ma è lontano…” “Quanto ci metti ora a tornare a casa?” “Vai piano” “Io non potrei viverci lontano dalla città” sono solo alcune delle frasi che spesso sento ripetermi: spesso rispondo che da me c’è l’aria pulita e che mi sveglio con il canto dei passerotti (entrambe queste frasi spesso non convincono il mio interlocutore). Poi torno a casa e guardo in cielo: una miriade di stelle. Non so se sia stata la scelta migliore il mio trasferirmi in campagna, ma già solo l’emozione di vedere il cosmo così vivido ogni notte è qualcosa di talmente forte da farmi considerare tale scelta la più saggia per me. A corto di denaro (ma non di lavoro) sto anche aiutando a costruire economia solidale e resilienza in giro per i paesi limitrofi, grazie alla collaborazione di persone sincere, in trasformazione, in ricerca di felicità vera (come me, d’altronde e, forse, come tutti); sono buddista da diversi anni (associazione IBISG, meglio nota come Soka Gakkai) e la pratica buddista insegna un metodo eccellente (il migliore da me trovato) per potenziare al massimo la resilienza individuale, rendendo ogni individuo capace di dare il meglio di sé, tirare fuori il meraviglioso e infinito potenziale che possiede. Dal sito dell’IBISG: “La vita di ogni individuo possiede un potenziale infinito; questo è il pensiero centrale del Buddismo di Nichiren. E per quanto in teoria questo sia un concetto facile da accettare, nella realtà tendiamo a porre limiti alle nostre possibilità. Inoltre, nella maggior parte dei casi, definiamo la nostra vita in base a tali limiti consapevoli o inconsci: sono in grado di fare questo, ma non quest’altro. Viviamo abbastanza comodamente dentro i nostri limiti auto-imposti, ma quando ci troviamo di fronte a un problema o a una difficoltà e sentiamo di non avere la capacità o le risorse emotive per affrontarle, soffriamo. Ci sentiamo schiacciati o impotenti, spaventati. La pratica buddista ci permette di attingere a inesauribili risorse interiori di coraggio, speranza e “resilienza” per superare le difficoltà e ampliare i confini della nostra esistenza, aiutando gli altri a fare lo stesso. Questa condizione vitale dinamica e compassionevole viene detta “Buddità” e un Budda è una persona che ha consolidato tale stato vitale come propria condizione predominante. La maggior parte delle persone tuttavia non sono consapevoli di questa opportunità o non sanno come metterla in pratica.“
Per capire profondamente ciò di cui parlo cominciamo dal capire cos’è la resilienza.
In ambito psicologico la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà.
In ambito biologico e ecologico la resilienza è la capacità di un certo sistema, di una certa specie, di una certa organizzazione di adattarsi ai cambiamenti, anche traumatici, che provengono dall’esterno senza degenerare.
Tale termine è stato ripreso anche dalle Transition Towns, un movimento culturale nato dieci anni fa in Inghilterra dalle intuizioni e dal lavoro di Rob Hopkins, un insegnante di Kinsale in Inghilterra esperto di permacultura. L’obiettivo delle Transition Towns è di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida costituita dal sommarsi del riscaldamento globale e del picco del petrolio. Quindi la capacità di una comunità di essere resiliente.
La società industriale (nel senso che ne dà Ivan Illich), quindi la nostra attuale realtà italiana, ha un bassissimo livello di resilienza. A Roma circolano più di tre milioni di automobili, l’attenzione all’ambiente è veramente bassa (per i parchi nel 2012 sono stati spesi circa 99.000 euro su un bilancio di circa 7 miliardi!), tanto per fare esempi banali (ma letali). Le industrie (dall’agricoltura, al manifatturiero, alle industrie pesanti) consumano territorio, energia e persone, dando risultati per lo più inefficienti, prodotti ad obsolescenza programmata e persone alienate dal lavoro: tutto diviene merce, poiché “l’economia capitalistica traduce il rapporto tra le persone in modi di sfruttamento”, come dice Marx.
Ciò, in definitiva, significa che di fronte ad un trauma (come la crisi economica e sociale che viviamo attualmente) la nostra società attualmente non è in grado di reagire adeguatamente per migliorare la situazione. D’altronde è sotto gli occhi di tutti la situazione di degrado sociale, politico e spirituale che stiamo vivendo: il fatto che milioni di noi italiani abbiamo votato e ancora votiamo delinquenti è prova lampante di non riuscire, nemmeno in un momento di crisi, a migliorare le nostre scelte (e a votare ci vogliono veramente pochi minuti, non è tutto questo sforzo) al fine di migliorare la situazione. La paura di un cambiamento regna sovrana.
Ma la nostra società è composta di individui e se non aumenta la resilienza individuale non può comunque aumentare la resilienza delle comunità.
Senza il dialogo e il confronto, senza lo scambio di idee e opinioni, il dibattito, l’azione congiunta, non è possibile crescere insieme; senza l’impegno costante e la determinazione individuale di vincere sui propri limiti (e lo strumento offerto dal buddismo è perfetto per tale scopo), non è possibile trasformarsi ogni giorno di più in portatori di pace, armonia e progresso nella rete della vita, divenendo primi portatori di idee, opinioni, dibattiti e azioni congiunte in direzione del miglioramento della qualità della vita nella comunità. Resilienza individuale e collettiva vanno di pari passo, l’una non può esistere senza l’altra.
Io scelgo di vivere convivialmente, di trasformare la crisi attraverso l’illuminante pensiero di Illich (1977: sì, leggete bene, l’ha scritto nel 1977!): “Il vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, diplomatici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà. Come i malati, i paesi diventano casi critici. Crisi, la parola greca che in tutte le lingue moderne ha voluto dire «scelta» o «punto di svolta», ora sta a significare: «Guidatore, dacci dentro!». […]
Ma «crisi» non ha necessariamente questo significato. Non comporta necessariamente una corsa precipitosa verso l’escalation del controllo. Può invece indicare l’attimo della scelta, quel momento meraviglioso in cui la gente all’improvviso si rende conto delle gabbie nelle quali si è rinchiusa e della possibilità di vivere in maniera diversa. Ed è questa la crisi, nel senso appunto di scelta, di fronte alla quale si trova oggi il mondo intero.”
Scegliamo ogni giorno e le nostre scelte determinano il futuro dell’umanità. Se l’umanità, ogni suo singolo individuo, non s’impegnerà a capire l’importanza della resilienza individuale e collettiva, il futuro sarà disastroso. Bisogna avere coraggio ed agire, questa è l’epoca in cui il benessere e benavere di tutti non è mai stato così vicino, abbiamo tutta la scienza e le risorse necessarie per concretizzare l’obiettivo di una umanità in armonia, ricca e rispettosa del sistema ecologico: dobbiamo crederci, creativamente e gioiosamente, perché diventi realtà.