Perché non sia un’ipocrisia o un mero esercizio di retorica l’affermazione che il rispetto sia dovuto ad ogni essere vivente, è necessario dimostrarlo in prima persona innanzitutto nell’ambiente in cui si vive a stretto contatto nella quotidianità.
Manifestiamo la verità del nostro credere nella sacralità d’ogni forma di vita non fuggendo dal conflitto, ma impegnandoci a superarlo ogni volta che si manifesta, dentro noi stessi e con gli altri, cercando insieme la verità: ciò ci permette di giungere ad una condizione di maggior giustizia ed equità.
Nell’esercizio del confronto con l’altro da sé, chiunque o qualsiasi cosa sia, con sincerità, pazienza e coraggio, emerge spontaneamente il senso di similitudine e di unità.
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Sapete cosa mi rende felice? Il sapore di un bicchiere di vino di un produttore biologico che si trova vicino casa mia, fatto con sapienza, amore, rispetto dell’ambiente e degli esseri umani. Un pomodoro o un cavolo che raccolgo dall’orto naturale di cui mi prendo cura insieme ad altre persone, in condivisone. L’abbraccio di mia mamma e di mio papà, il loro sorriso. Una famiglia unita capace di superare le proprie differenze. Il sorriso sincero dei miei amici. La comunità in cui vivo capace di cambiare tendendo ad una condizione migliore di vita per tutti, scegliendo insieme, lasciando da parte le divergenze e cercando di cogliere ciò che ci unisce. Mi rende felice chiacchierare con uno sconosciuto, di qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi lingua e scoprire di condividere una comune umanità. Avere la fortuna di incontrare grandi personalità capaci di essere colte, intelligenti e aperte al dialogo allo stesso tempo, senza sentirsi più capaci degli altri, senza escludere gli altri, ma capaci di abbracciarli.
Mi rende felice osservare gli alberi che sono mossi dal vento, la pioggia che cade sui campi e che permette la vita, il succedersi delle stagioni: il freddo dell’inverno, il caldo dell’estate, il tepore dell’autunno e della primavera. Saper superare la solitudine, capace di soffrire senza scoraggiarmi, sapendo far tesoro del dolore. Trovare le parole giuste da dire nei momenti più duri, trovare la poesia in un gesto, un’alba, un tramonto, un ricordo, una sensazione.
Mi rende felice saper chiedere scusa e saper dire grazie. Mi rende felice la persona che sa chiedere scusa e che sa dire grazie. Mi rende felice cercare incessantemente la verità e chi la ricerca senza mai stancarsi, senza mai arrendersi, sfidandosi ogni giorno, approfondendo e cercando di capire, piuttosto che giudicare e rimanere a guardare senza agire. Mi rende felice la mia capacità di approfondimento e di studio. Mi rende felice il coraggio che permette di non arrendersi ad una realtà che non piace, che si vede come iniqua e ingiusta. Mi rende felice il coraggio degli altri, che mi dà la forza di non arrendermi agli eventi infausti della vita.
Mi rende felice sognare ad occhi aperti, progettare un futuro migliore agendo nel presente, considerando tutti.
Mi rende felice sbagliare per poi riprovare a fare bene, senza la paura di essere giudicato.
Mi rendono felici i bambini, capaci di provare gioia per il solo fatto di essere vivi.
Mi rende felice baciare la persona che amo anche se lei non è consapevole di quanto è grande quel bacio e cosa cambierà nell’universo.
Mi rende felice dare e ricevere senza pretendere nulla in cambio.
Mi rende felice chi è altruista, chi sa dare un contributo positivo e propositivo, perché sa di essere parte della vita nella sua complessità e immensità.
Mi rende felice tutto ciò che ha valore e che produce valore, che incorpora in sé il senso del bello, del buono, del giusto.
Qualcuno potrebbe pensare che siano esperienze soggettive, ma non è così. Ognuno ha la capacità, attraverso i propri sensi così come sono, attraverso le proprie esperienze, attraverso la propria mente e il proprio cuore, di vedere dove è il giusto, dove è la gioia, dove è la verità, nella comprensione profonda che tutto è interrelato.
Tutto questo l’ho imparato e continuo ad impararlo istante dopo istante recitando Nam Myoho Renge Kyo di fronte al Gohonzon, la legge mistica tramandata nei secoli che racchiude in sé tutto ciò che è esistito, che esiste e che esisterà nell’universo.
Sembra arrogante pensare che delle parole, una pergamena di fronte a cui pregare, siano di per sé sufficienti a capire la realtà, a discernere l’illusione dalla realtà.
Ma se posso lasciare qualcosa di vero alle generazioni future, è tutto racchiuso nell’insegnamento buddista di Nichiren Daishonin giunto a me grazie alla Soka Gakkai, che tramanda oggi il corretto insegnamento buddista per raggiungere rapidamente la vera felicità, la vera gioia di vivere. Il futuro è tutto da scrivere e ognuno di noi è ne è il protagonista, l’attore principale.
Ognuno cambia il futuro grazie all’assunzione della propria responsabilità di esistere, impegnandosi a migliorare ogni giorno.

È importante saper apprezzare la solitudine, significa accettarsi così come si è, significa imparare ad amarsi.
Ma, poiché siamo compresenti insieme in questo dato momento, l’imparare ad amarci l’un l’altro è un’inesauribile fonte di crescita, un avvicinamento concreto alla realtà della vita così come è in tutta la sua grandezza, la direzione migliore verso l’armonia e la pace per il genere umano.
Quando si ama ci si trova anche in momenti di conflitto, è inevitabile: l’importante è non cambiare la nostra visione dell’amore profondo e universale solo a causa di vecchie discussioni. Saper tornare ad amarsi è ancora più importante della disillusione determinata dal conflitto.
Il presente è più importante del passato.
La nostra indifferenza anche verso una sola forma di vita è un’illusione. Tutto esiste e è interrelato con noi anche se noi non vi diamo alcuna importanza.
La vita è una rete pulsante, ogni singola forma ne è parte imprescindibile: la nostra capacità di amare ogni parte così come è significa apprezzare la vita nella sua totalità.
Non esistono persone giuste o sbagliate per noi, esistono solo persone.
E sono tutte egualmente meravigliose, con i propri talenti, i propri difetti e le proprie sfide.
Sostenerle tutte è l’impegno quotidiano di chi vive illuminato dalla comprensione profonda dei legami inscindibili che ci legano l’un l’altro.

Prima di esprimere il mio punto di vista sulla tematica che affronto in questo articolo, ossia il pregiudizio ideologico, preferisco definire cosa io intendo per pregiudizio e cosa per ideologia, di modo da non dar adito a fraintendimenti.
pregiudìzio (ant. pregiudìcio) s. m. [dal lat. praeiudicium, comp. di prae- «pre-» e iudicium «giudizio»].
Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore.
Definizione dal vocabolario Treccani
Per quanto concerne invece la definizione di ideologia, trovo aderente al mio modo di intenderla la definizione data da Karl Marx e Frederich Engels, nel loro saggio “L’ideologia tedesca”:
L’ideologia non indica più, come per Ideologi e Illuministi, lo studio delle sensazioni e l’origine delle idee, essa per Marx indica la funzione che religione, filosofia e produzioni culturali in genere possono avere nel giustificare la situazione esistente: «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante […] Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee»
Da Wikipedia
Credo che uno dei maggiori problemi di comunicazione e dialogo tra esseri umani sia determinato dall’avere un potente pregiudizio ideologico. Cosa intendo con ciò?
Intendo, in parole povere che, se un’idea non viene valutata in funzione della giustezza o meno in sé per sé (ognuno con i propri strumenti culturali, messi, attraverso il dibattito, in condivisione con l’altro in un aperto confronto, il più possibile liberi da preconcetti), attraverso un dialogo tendente a costruire un’idea comune, ma viene valutata pregiudizialmente in funzione del soggetto che la esprime, non possa mai avvenire un dibattito sincero, un crescere insieme, non ci possa in definitiva essere la capacità di costruire una comunità pacifica e quindi un futuro condiviso, scegliendo nel presente le idee più sagge e giuste che riusciamo a concepire.
Se si decide di considerare un’idea corretta solo perché a dirla è stata una persona che stimiamo, sia esso un rappresentante di una corrente di pensiero, un leader politico o religioso, un nostro amico, perdiamo la nostra innata capacità critica di riflettere analiticamente sulla realtà basandosi sui fatti e su una logica lineare piuttosto che sul preconcetto: perdiamo quindi l’opportunità di scegliere ciò che è meglio in questo dato momento.
Se il nostro pensiero non evolve in funzione delle informazioni che via via riceviamo, cercando di discernere la verità dalla menzogna, se si rifiuta il dialogo per pregiudizio ideologico, si perde il senso di realtà e si finisce per aderire ad una visione stereotipata o preconfezionata senza aggiungere il nostro prezioso punto di vista. Si sminuisce quindi il proprio ruolo e la propria importanza sociale, di esseri umani comunque pensanti e emotivi, in modo diverso l’uno dall’altro, con il proprio originale e unico punto di vista, solo per la paura di trovarsi in solitudine a pensarla in un certo modo, forse derisi se non addirittura ignorati.
Eppure la storia dell’uomo ci insegna che proprio chi ha avuto il coraggio di esprimere idee liberamente (e agirne coerentemente, per dimostrare la validità e la verità delle proprie asserzioni) ha cambiato radicalmente il percorso della comunità umana.
Ghandi, Einstein, Marx, Shakyamuni, Jung, Gesù, Goethe, Steiner, tanto per citarne alcuni tra i più celebri, hanno, con il loro pensiero e la loro azione, scevri da pregiudizi ideologici, fatto evolvere il pensiero e l’agire della collettività, hanno aperto la mente a milioni di persone su ciò che è da ritenersi giusto e ciò che è da ritenersi sbagliato, mettendosi in gioco in prima persona, senza la paura di essere giudicati e/o criticati.
Dietro al pregiudizio ideologico spesso si celano le nostre paure (di vivere, di essere felici, di venir giudicati), i nostri sensi di colpa, le nostre responsabilità individuali, la nostra pigrizia, lasciando spazio ad una visione comune del mondo (anche se visione solo di una parte, anche se solo nel circolo di persone dinanzi a noi nel momento in cui ci esprimiamo) che ci rassicura e rasserena nell’immediato, ma che spesso ci porta alle peggiori soluzioni, se non, nei casi più gravi, ad essere complici o artefici delle più grandi nefandezze e scelleratezze: nascosti stupidamente dal pensiero che “tanto ora tutti la pensano così, mi adeguo per non entrare in conflitto, così sto in pace e vengo accettato”, non riusciamo a vedere con chiarezza l’importanza e la responsabilità che assume il nostro comportamento di adesione o opposizione ad una data idea, per puro pregiudizio ideologico.
Il pregiudizio ideologico provoca un annichilimento del nostro sé, un annientamento del proprio sapere, delle proprie esperienze, in sostanza annulla il nostro essere ed esserci e poter essere determinanti nelle scelte comuni, che dovrebbero invece scaturire da un dialogo tra persone coraggiose, che non temono il giudizio altrui. Uccide, il pregiudizio ideologico, ogni possibile evoluzione del pensiero e dell’agire umano, perché distrugge la nostra innata capacità di creare soluzioni originali e innovative alle problematiche che la vita ci pone dinanzi, disintegra il nostro potere di pensare da esseri liberi e agire di conseguenza.
La società industriale probabilmente ha grandi responsabilità nell’aver ridotto, quando non annullato, la creatività degli esseri umani, attraverso la serialità dei prodotti e dei servizi, attraverso la catena di montaggio, per mezzo dell’omologazione indotta dai mezzi di comunicazione di massa, attraverso l’avvilimento di quella parte dell’essere umano nato artigiano e artista, condottiero del proprio cuore e della propria mente.
Paradossalmente, in un presente che ci permette di comunicare con una quantità di persone impensabile fino a qualche decennio fa, immersi nella società della comunicazione, non sappiamo spesso più che dire, se non banalità, perché abbiamo paura di essere pionieri di nuove idee, di nuove attitudini, abbiamo paura che gli altri ci giudichino come folli o stupidi.
Eppure cosa c’è di più stupido dell’accettare un’affermazione come verità solo perché abbiamo deciso che la persona o la comunità che la esprime è vicina a noi, solo per spirito di appartenenza, solo per omologazione, solo per pigrizia, solo per fobia?
Il nostro vestire, il nostro mangiare, i nostri gusti, le nostre scelte, non sono più nostri, sono frutto di un pensiero comune che non critichiamo, ma a cui ci adeguiamo supinamente (seppure sgomitando per renderlo originale), inconsapevoli di cercare in un contenitore precostituito e dai confini determinati, piuttosto che nella reale sconfinatezza della nostra mente: perché è immensamente più difficile, nel contesto in cui siamo nati e cresciuti, esprimere un’idea non convenzionale senza essere derisi, ignorati o condannati, ma se non lo facciamo perdiamo a poco a poco la nostra vitalità, la nostra creatività, la nostra socialità, quindi, in definitiva, il nostro stesso senso di esistere. E questo atteggiamento ci porta a deprimerci e ad abbandonare i nostri sogni, a smettere di lottare nel presente orientati verso il futuro, diveniamo artefici in sintesi di uno stato d’animo che cancella la speranza di un domani migliore e appagante, costruito attraverso una faticosa quotidiana lotta interiore per far emergere le nostre inimitabili qualità intrinseche. Agiamo trasportati dalle emozioni create da altri, incapaci di credere di poter vincere pur quando tutto il nostro essere ci dice di essere nel giusto.
Ma la verità più profonda è che il nostro infinito potenziale creativo, se messo in azione, può spezzare ogni catena e ogni vincolo, annientando il pregiudizio ideologico: dovunque siamo nati, in qualsiasi condizione ci troviamo, possiamo progredire verso la realizzazione di noi stessi in tutto e per tutto, possiamo costruire una felicità concreta per noi e per gli altri. Seguendo tale comportamento diventiamo noi stessi gli esseri saggi e giusti dell’umanità, diventiamo noi i Ghandi e i Martin Luther King della nostra comunità, della nostra epoca. Per quanto possa essere faticoso, per quanto all’inizio non si venga accettati, non riesco ad immaginare un modo più gioioso, intenso e pieno di vivere.

Arrivo arrabbiato a queste elezioni politiche e sono arrabbiato innanzitutto con me stesso: in questi ultimi anni ho fatto tanta cittadinanza attiva, ma poca all’interno dell’ambito prettamente politico. Ho impiegato 4 mesi per scegliere se votare il Movimento 5 Stelle o meno in attesa che la sinistra, a cui ho sempre fatto riferimento, si proponesse in qualche modo; e il modo con cui si è proposta è stato pessimo, con Rivoluzione Civile costruita in pochissimo tempo, senza il tempo di dibattere, proponendo tanti candidati appartenenti alla vecchia dirigenza fallita dei partiti di sinistra radicale. Quella sinistra che ha perso a tutte le ultime elezioni, che non ha più la rappresentanza in Parlamento da anni, per la cecità di non usare strumenti più idonei e democratici di coinvolgimento dei militanti, per non essere in grado di supportare la cittadinanza attiva, di essere strumento e non fine. Mi ricordo ancora quando, nel 2005, al Congresso di Rifondazione Comunista dei Castelli Romani (militavo nella sezione di Grottaferrata), proposi di dotare ogni sezione di un computer rigenerato, con istallato linux, al costo di 50 euro e una linea dsl da 20 euro al mese: ciò al fine di permettere a tutte e tutti di discutere on-line, di partecipare alle decisioni del partito veramente dal basso, eliminando le distanze fisiche che lo impedivano. Andai anche al nazionale, dove tutti a parole erano favorevoli, ma nessuno si mosse. Forse se fosse passata realmente la mia proposta, al posto del M5S ora c’era Rifondazione e una storia diversa di questo paese.
Sono arrabbiato con i miei concittadini, perché ancora una volta, in tanti, si sono fatti abbindolare dagli stessi personaggi e gruppi che da decenni promuovono e approvano riforme che hanno distrutto lo stato di diritto, la divisione dei poteri, i diritti costituzionali. Da destra a sinistra. Sono arrabbiato perché in questo paese conta più il beneficio di uno che quello di tutti, perché il più bravo è il più furbo e scaltro.
Sono arrabbiato con tanti miei coetanei che si lamentano, ma non partecipano, non lottano quotidianamente, per cambiare lo stato di cose presente. Sono arrabbiato anche perché studiano, si laureano, hanno dottorati e masters e non sanno nemmeno come funziona il Parlamento, non conoscono la Costituzione, capiscono poco o niente di politica e economia perché studiano solo i libri che vengono dati loro dal sistema educativo; vivono la vita virtualmente, dai telefonini, sono presuntuosi e arroganti perché pensano che basti un titolo per farli divenire persone capaci, pur senza avere esperienze; non hanno alcuna capacità critica, hanno così poca umanità da non riconoscere mai i propri errori e condannare sempre quelli altrui. Pensano sempre che avere ragione sia più importante della verità, pensano che non esista verità e che ognuno abbia la propria, indiscutibile, incontrovertibile, dimenticando così ciò che di più ci fa umani, l’essere molto, molto più simili di quanto non vogliamo ammettere.
Sono arrabbiato anche con i tanti arrabbiati insani, che vivono la propria vita con rancore e odio perenni, non capendo che la rabbia e l’odio sono sani solo se si trasformano dinamicamente in gioia e amore; solo se, di fronte alle ingiustizie e ai torti subiti, diventano forze propulsive di un cambiamento interiore che spinge a fare ogni giorno di più e meglio in prima persona.
Sono arrabbiato con i tanti che pensano di essere migliori degli altri, non capendo che siamo un’umanità di uguali, dove tutti abbiamo qualche aspetto migliore di un altro, così come debolezze peggiori di altri. E che solo insieme, attraverso il dialogo, la filosofia della prassi gramsciana, si può arrivare a soluzioni condivise e migliori.
Sono arrabbiato con chi sempre trova una giustificazione ai propri errori che non sia l’errore in sé di non aver visto la realtà per quella che è, ma sempre per scelta costretta da qualcosa di esterno a se stesso, che l’ha portato a scelte inevitabili. Non esiste prigione e libertà che non sia frutto della nostra mente. Un uomo che comprende di essere libero a prescindere dalle condizioni esterne, io lo considero un illuminato alla verità fondamentale della vita.
Sono arrabbiato contro gli ipocriti, che celano, dietro un sorriso compiacente, invidia, gelosia, rancore, sempre in cerca di visibilità, sempre esibizionisti, esseri svuotati che trovano solo nell’affermazione sociale la propria ragione d’esistere. Tali esseri dimenticano di essere perfetti così come sono, di avere un potenziale illimitato, di poter cambiare tutto solo cambiando se stessi.
Sono arrabbiato con chi confonde la collera con la violenza, con chi confonde il grido di dolore con la voglia di sopraffazione: in questa società sono spesso quelli che parlano a bassa voce, che non si conoscono, non si sentono, non si vedono, che non parlano proprio che distruggono ogni bene, perché macchinano alle spalle degli altri, in omertà, perché non prendono mai parte a nulla di più grande della loro piccola vita.
Sono arrabbiato con tutte quelle persone che non vogliono assumersi nessuna responsabilità, nemmeno della propria vita; vivono sempre in balia del vento e delle maree, tirando fuori solo ciò che c’è di più basso di se stessi; e questo perché tirare fuori lo splendore umano è faticoso, significa perdere l’arroganza, la superbia, l’egoismo, l’esibizionismo, significa chiedere scusa e dire grazie con il cuore, non dimenticando mai che solo il riconoscimento continuo della verità porta alla giustizia.
Sono arrabbiato con i disonesti, quelli che usano il proprio potere per ottenere benefici individuali con la sopraffazione, che mentono sapendo di mentire, che non pagano le tasse e però reclamano servizi; con tutti quelli che innanzitutto mentono a se stessi, non volendo vedere le loro bassezze e la salita lunga che debbono affrontare per divenire esseri umani meravigliosi.
La mia rabbia è sana, è libera, non è violenta, mira a risvegliare le coscienze sopite, è un profondo atto d’amore dettato dalla consapevolezza che ho raggiunto della vita e che ogni giorno lotto per aumentare, lasciando illusioni e malsano egoismo alle spalle, ogni giorno rinascendo dalle mie ceneri, lottando dentro me stesso, perché credo senza dubbio alcuno che non ci sia vero bene mio che non sia vero bene di tutti.
Sognare la realtà
Avete mai pianto di gioia? A tutti capita di piangere per la sofferenza, ma è la prima volta che piango per gioia. È qualcosa di così splendidamente umano, è certamente l’emergere della parte migliore di noi che ci fa piangere per gioia. Io piango perché ora vedo questa umanità sofferente e comprendo la causa fondamentale di tutte le sofferenze, scorgo con chiarezza l’illusione che impedisce all’umanità di progredire: ma dentro tutta questa sofferenza per la prima volta vedo anche la gioia assoluta, illimitata, derivante dal percepire la vera natura di tutti i fenomeni, la possibilità di scardinare l’illusione fondamentale che ci impedisce di progredire senza limiti. La sento, la vivo e la vedo pulsare dentro me e la riconosco in ogni cosa che mi circonda. Quando manifestiamo la nostra vera natura dell’essere vita pulsante dell’universo, non esistono limiti, non esiste io o l’altro, siamo universo infinito in continuo mutamento, siamo la danza della vita, siamo energia illimitata, saggezza, vero io, purezza, eternità. Non smetterò mai di ringraziare il buddismo e tutti i maestri, grandi saggi illuminati, coraggiosi come leoni, che ininterrotamente hanno dedicato la propria vita, ad ogni costo, affrontando innumerevoli persecuzioni, al solo scopo di far giungere sino a me e a tutti gli esseri umani il cuore di questo insegnamento meraviglioso, capace di rendere felici tutti gli esseri viventi, capace di illuminarci alla vera natura: Siddhattha Gautama, Nāgārjuna, Kumārajīva, Vasubandhu, Zhìyǐ, Miao-lo, Nichiren Daishonin, Tsunetsaburo Makiguchi, Josei Toda, Daisaku Ikeda, vi ringrazio dal più profondo del cuore, lotterò anche io al vostro fianco senza timore alcuno, certo di poter contribuire alla felicità del genere umano, a lottare per realizzare un mondo di pace e felicità per tutti gli esseri viventi, insieme ad essi, in unità assoluta.
Ringrazio anche tutti i miei compagni di fede della Soka Gakkai, (un’organizzazione che lotta da 80 anni, ora in quasi tutti i paesi della terra, per creare un mondo di pace, comprensione, dialogo e felicità per tutti gli esseri viventi, attraverso la pratica e lo studio del buddismo di Nichiren Daishonin) che mi sono sempre stati vicini, mi hanno sempre rispettato profondamente, anche quando stavo male, anche quando mi sono allontanato da loro, anche quando non li ho aiutati perso nel mio egoismo: il loro amore incondizionato è la più preziosa conferma della grandiosità dell’insegnamento buddista di Nichiren Daishonin, è grazie a tutti i miei compagni di fede che ora posso vivere questo stato di illimitata gioia, non ce l’avrei mai fatta da solo.
Di cuore, grazie.
Il problema basilare, la pietra angolare d’ogni insensibilità e incoscienza dell’essere umano, risiede nel vivere nell’illusione, nel voler credere alla menzogna. Guardando ad esempio in televisione una pubblicità d’un prosciutto viene narrata una realtà parziale, spesso ipocrita, esaltando il gusto, la genuinità: mai però viene mostrato il processo di macellazione, sullo stile “Guardate come macelliamo bene le nostre carni!” (ma ve lo immaginate?). Alla maggior parte delle persone piace essere illusa: la gran parte dei convinti “carnivori” che conosco non è mai stata in un macello e men che mai ci andrebbe. È meglio che il “lavoro sporco” lo faccia qualcun altro. Io non ho nulla a che dire con chi mangia carne, sono scelte del tutto individuali, è solo per portare un esempio forte: un esempio forte di come molti esseri umani sappiano arrivare a mentire a se stessi e agli altri al punto da non avere più il senso della realtà. Come diceva Gramsci l’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva.
Ecco che un nuovo anno comincia, il 2009. Questo numero fa riaffiorare nella mia mente i romanzi di fantascienza che leggevo da piccolo, da “2001 Odissea nello spazio” di Arthur C. Clarke a “La macchina del tempo” di Herbert George Wells, all’intero “Ciclo della fondazione” di Isaac Asimov. Narrano di un avvenire ultra tecnologico, della conquista dello spazio, di psicostoria, di una più evoluta e complessa concezione della vita, ma in particolare di un futuro dove i rapporti umani sono solo una parte dell’universo conosciuto, perché non è solo la nostra specie ad esistere nel cosmo. Ed ecco che dalla fervida immaginazione di questi grandi scrittori appaiono nuove specie intelligenti, con la loro psicologia e la loro visione dell’universo spesso ben divergenti da quelle umane, ma che convivono insieme nel cosmo infinito. Il grande merito di questi narratori è stato aprire la mente verso il futuro, poterselo immaginare al di là del nostro tempo, oltre lo spazio fisico del nostro sistema solare, oltre la nostra specie.