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La parte di storia non raccontata: chi ha sconfitto il nazifascismo in Italia

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Purtroppo si diffonde sempre più la superficialità nelle analisi degli accadimenti, dai più piccoli ai più grandi: questo perché si desume la realtà non tramite un’osservazione sistemica dei processi in atto, non usando un approccio scientifico, di costante ricerca di verità oggettive in mezzo ad una mole impressionante di verità soggettive, non tramite l’intuizione attraverso l’introspezione, ma attraverso il filtro dell’ideologia.

Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante e dunque sono le idee del suo dominio.” Questa la critica illuminata di Marx alle ideologie.

Attraverso l’ideologia si presume di essere dalla parte della ragione, dalla parte giusta della storia, a priori e a prescindere, senza possibilità di contraddittorio. Questo modo di ragionare porta alla distruzione dell’umanità attraverso la morte del dialogo, che è l’unica strategia per la pace, la giustizia, l’equità, la salvezza della vita. Solo con il dialogo possono emergere verità condivise: senza verità condivise le comunità umane finiscono nel caos. Le persone si sentono perdute e impaurite e finiscono per agire nel peggiore dei modi, seguendo non chi ragiona meglio, ma chi grida di più.

La vita è complessità e non linearità, ma anche un processo cognitivo: i sistemi vitali apprendono continuamente dagli errori commessi e migliorano di conseguenza. Certo, perché questo processo vitale possa emergere nelle comunità umane, è determinante che vi sia una trasmissione e un’evoluzione del sapere di generazione in generazione: educazione e cultura quindi sono i pilastri del progresso, che consentono di apprendere dal passato e non cadere più nei medesimi errori, che ci permettono di essere creativi in forme inedite. “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum” (sbagliare è umano, perseverare nell’errore è diabolico) afferma il brocardo latino. “Chi commette un errore e non vi pone rimedio sbaglia due volte” sosteneva Confucio.

La narrazione prevalente nell’immaginario collettivo è che l’Italia sia stata liberata dal nazi-fascismo grazie ai militari statunitensi e alla resistenza. Non può essere messo in dubbio che il supporto dei militari americani e le organizzazioni partigiane abbiano influito nel processo che ha portato alla fine della dittatura. Però non sono state le uniche cause. I processi vitali e quindi anche quelli umani sono sempre frutto di innumerevoli concause. Questo è un fatto della vita che nessuno sano di mente cercherebbe mai di smentire.

Accanto però agli attori del conflitto, c’è una moltitudine silenziosa, che raramente viene considerata, ma che influisce in maniera determinante nei processi evolutivi dell’umanità.

Mi riferisco a tutti coloro che decidono di disertare la guerra: la renitenza alla leva, chi decide di non combattere, di non imbracciare il fucile per annichilire i presunti “cattivi”, durante il primo dopoguerra assunse dimensioni impressionanti: nella chiamata alle armi delle classe 1923-1925, su 180.000 giovani in età di leva, solo 87.000 si presentarono ai distretti militari. Quasi il 50% si rifiutò di combattere.

Il disertore viene sempre descritto come un traditore della patria dalla propaganda di regime: di tutti i regimi, anche di quelli che si autodefiniscono democratici.

La democrazia è una delle parole più abusate e violentate dalle propagande delle oligarchie.

La repubblica democratica si fonda sul lavoro: questo statuisce l’art. 1 della Costituzione. Ma quando lavoro non c’è più o non c’è per tutti o le condizioni di lavoro dettate del mercato (amaramente non più dalla politica) non permettono più una vita dignitosa, possiamo ancora parlare di democrazia? Per chi deve ogni giorno lottare per riuscire a sopravvivere non c’è tempo di informarsi, di studiare, di approfondire, di fare salotto e dialogare.

Un altro concetto poi viene espresso dalla nostra carta costituzionale, sempre all’art. 1: la sovranità popolare. Ma cosa vuol dire sovranità popolare se i governanti scelgono senza permettere al popolo di sapere in maniera esauriente quali siano le alternative, lasciando che l’informazione sia controllata da alcuni potentati economici i quali diffondono solo le informazioni (quando non le manipolano) utili ai loro interessi? Cosa vuol dire sovranità se la voce della moltitudine non viene presa in considerazione da chi governa? Cosa accade quando sono i potentati economici a pagare le campagne elettorali di chi si presenta alle elezioni, campagne elettorali costantemente e tristemente truffaldine? Quando un popolo è affamato e non ha il tempo per informarsi e istruirsi esaurientemente crede a chiunque gli prometta il pane. Lo fa con quell’ingenuità che appartiene ad ogni essere umano, perché spera che prima o poi qualcuno quella promessa di equità, di giustizia, la mantenga.

Come può esistere sovranità popolare se gli unici strumenti per saggiare la volontà dei cittadini sono le elezioni dei rappresentanti?

Il sistema repubblicano voluto dai padri costituenti è un enorme passo avanti rispetto al passato perché pone delle basi fondamentali ineludibili perché la democrazia e la sovranità si possano concretamente realizzare: l’obbligatorietà dell’utilità sociale dell’impresa privata sancita dall’art. 41 Cost. It.; il dovere di solidarietà politica, economica e sociale imposto a tutti i cittadini dall’art. 2 Cost. It.; la non discriminazione, il compito fondamentale della Repubblica verso la rimozione degli ostacoli economici e sociali che limitano libertà e ugaglianza e impediscono il pieno sviluppo delle persone, l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, statuiti dall’art. 3 Cost. It.; il diritto al lavoro, il dovere imposto ad ogni cittadino di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società, statuiti dall’art. 4; l’obbligo di adeguare la legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento, per permettere alle comunità di essere il fulcro delle scelte politiche, statuito dall’art. 5; lo sviluppo della cultura e della ricerca, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, art. 9; il ripudio della guerra di cui all’art. 11; il diritto di manifestare il proprio pensiero liberamente, statuito dall’art. 21; il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi, statuito dall’art. 24; la non colpevolezza dell’imputato sino alla condanna definitiva e l’obbligo che la pena sia tesa alla rieducazione del condannato e non alla sua punizione, statuiti dall’art. 27; la responsabilità diretta dei funzionari e dipendenti pubblici degli atti compiuti in violazioni di diritti, statuita dall’art. 28; il diritto alla salute statuito dall’art. 32; la libertà di insegnamento statuita dall’art. 33; l’obbligo di istruzione e il sostegno ai capaci e meritevoli privi di mezzi di raggiungere i gradi più alti degli studi, sanciti dall’art. 34; il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualitò del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, il diritto al riposo, sanciti dall’art. 36; la parità di genere sancita dall’art. 37; Il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale di ogni cittadino inabile al lavoro, statuito dall’art. 38; il diritto di sciopero sancito dall’art. 40; il diritto di riservare allo Stato, agli enti pubblici, alle comunità di lavoratori e utenti, tramite la legge, la gestione e la proprietà delle imprese che erogano i servizi pubblici essenziali, che controllano le fonti energetiche, nonché tutte le situazioni di monopolio che abbiano carattere di preminente interesse generale, sancito dall’art. 43; i vincoli alla proprietà terriera privata, imposti dall’art. 44; il riconoscimento e la promozione della funzione sociale della cooperazione a carattere di di mutualità e senza fini di speculazione privata, la tutela e lo sviluppo dell’artigianato, statuiti dall’art. 46; il diritto di tutti i cittadini di avere un’abitazione e un terreno da coltivare, sancito dall’art. 47.

Senza l’applicazione concreta nel nostro Paese di questi e di tutti gli altri principi di Diritto stabiliti nella Costituzione, il sistema immaginato dai padri costituenti diviene lettera morta: la democrazia e la sovranità sancite all’art. 1 vengono meno.

Alla luce di tali considerazioni il disertore, il soggetto volutamente dimenticato dalla narrazione delle propagande, seppur concausa fondamentale per determinare il corso degli eventi, assurge ad eroe e vero artefice della pace e della giustizia: non solo quindi l’azione verso il bene, ma la non collaborazione con il male, diventa determinante per il destino degli esseri umani.

Per questo tutti i regimi reprimono i disertori, li deridono definendoli vigliacchi, li condannano a morte, li arrestano: il potente è perfettamente cosciente del fatto che, senza costrizione, l’essere umano libero, a cui viene garantito il diritto di vivere con dignità, che ha il tempo di informarsi e di farsi una sua opinione, difficilmente agirà a tutela dell’interesse di pochi, ma agirà più probabilmente nell’interesse della comunità di cui si sente parte integrante, in cui si sente vivo, in cui ama, studia, lavora.

L’essere umano, quando è veramente libero, è perfettamente consapevole che l’altrui bene e il proprio sono inscindibili.

L’annichilimento, fomentato quotidianamente dalla propaganda di regime attraverso i mezzi d’informazione, di chi non si adegua, di chi non collabora, di chi decide di non resistere, di chi non si schiera a priori e a prescindere, è il più alto tradimento ai valori della vita messo in atto dalle oligarchie.

È compito di ognuno di noi aprire gli occhi sulla verità e diventare protagonista attivo degli eventi, per imprimere un’altra direzione al futuro dell’umanità, agendo per salvaguardare la vita in ogni sua forma: è il compito naturale impresso nei nostri cuori sin dall’alba dei tempi. Non scoraggiamoci, superiamo le nostre paure e costruiamo insieme un mondo di pace, giustizia, equità, educazione, cultura, dialogo, armonia tra tutti gli esseri viventi.

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Economia Società

Il nuovo ordine liberale crea solitudine: ecco cosa sta facendo a pezzi la nostra società

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Si parla spesso delle disastrose conseguenze del liberismo per l’economia, oggi sotto gli occhi di tutti in Europa. George Monbiot in questo articolo su The Guardian mostra più ampiamente i risulta…

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Economia Società Umanesimo

Il fallimento del produttivismo

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Sono in Sardegna, isola che amo e che conosco da quando sono nato. Ammiro gli imponenti e ancestrali monti di granito, mi inebria l’odore del mirto e dell’elicriso, sono estasiato dalle acque cristalline, sento pulsare in questa terra per lo più incontaminata una forza archetipa, quella della natura nel suo libero divenire originario.

E poi giro per Olbia o Porto Rotondo e vedo tutte queste famiglie in preda al raptus dell’acquisto estivo: vagano nei centri commerciali e tra bancarelle che per lo più vendono prodotti scadenti, se non vera e propria immondizia, scarti della produzione industriale spacciati per cibo o prodotti cosmetici, acquistando voracemente ogni stupidaggine. L’industria dei marchi ha inquinato anche le menti dei giovani: una ragazzina di non più di quindici anni diceva in spiaggia “non voglio mettermi con nessuno, a meno che non sia bello così sono sicura che mio figlio sarà bello”. I genitori non hanno detto una parola a questa affermazione, come se fosse normale esprimere un pensiero così stupido e superficiale. Come se l’amore fosse un acquisto vantaggioso, come se fosse indossare un vestito di un marchio famoso, come se fosse il puntare su un cavallo vincente: così come la televisione e la pubblicità insegna loro. Una famiglia oggi al supermercato, alla richiesta della cassiera se avesse la carta Conad, lascia rispondere la bambina: “noi andiamo alla Coop o al Carrefour, non abbiamo la carta Conad”. I genitori aggiungono che da loro è un susseguirsi di centri commerciali e dicono tali parole con aria compiaciuta. La cassiera risponde che “purtroppo” qui non c’è ancora nemmeno Ikea e che sono finiti i tempi in cui si costruivano centri commerciali in Sardegna. L’altro giorno una famiglia francese al Carrefour, siccome la loro carta di credito non veniva accettata come bancomat, dicono alla cassiera “noi siamo francesi, Carrefour è francese, come è possibile”, come se la colonizzazione commerciale di una multinazionale, che ha distrutto tantissime economie locali, con imprese costrette a chiudere, posti di lavoro persi, cultura manifatturiera cancellata, sia qualcosa di cui andare fieri, qualcosa che tutela la loro supposta supremazia nazionale nel mondo. Al negozio biologico da cui mi rifornisco a Olbia una signora del nord Italia dice che i sardi non hanno voglia di lavorare e di fare soldi (come invece al nord), perché ha saputo che si voleva aprire un supermercato Natura sì in questa città, ma nessuno si è prodigato per trovare uno spazio adeguato alle richieste di tale catena di distribuzione.

Questo modello sociale promosso da avidi ricchi impazziti (e seguito dai tanti che stupidamente provano a imitarli) sta decadendo, è già decaduto, solo che molti ancora non se ne accorgono. La società industriale, il produttivismo, sta portando al collasso ambientale e sociale, ormai è un fatto e non una mera teoria. L’individuo interessato più all’avere (che sia un’auto, un lavoro, una famiglia) che all’essere è un individuo fallito, che ha perduto il senso originario della vita. E la depressione prende il sopravvento nei più, celata dietro ai sorrisi finti nei selfie, dietro le maschere di cera delle signore imbellettate in giro per l’aperitivo a Porto Rotondo. All’innaugurazione della discoteca Country, sempre a Porto Rotondo, file di ragazzini di 20 anni anelano entrare, ma rimangono delusi e arrabbiati, perché senza invito e senza essere in lista non si entra. Torneranno a casa sognando un giorno di avere abbastanza soldi o fama tali da poter entrare per primi, guardando con godimento i ragazzini che non potranno entrare. In bella mostra all’ingresso un’auto sportiva da centinaia di migliaia di euro completa il quadro penoso della situazione. E anche io mi arrabbio, non perché desiderassi entrare chissà quanto, ma perché nemmeno lo avevano comunicato che ci fosse bisogno di un invito: tutto perfettamente studiato per creare una società divisa in inclusi e esclusi.

Una società falsa, superficiale, che produce individui incapaci di sostenere un dialogo sincero, autentico, incapaci di valorizzare le relazioni e saperle tenere: diverse volte mi è capitato di perdere un’amicizia o addirittura l’amore per una frase detta crudamente, per un comportamento duro ma determinato al crescere dell’altro, senza che l’altro abbia avuto il coraggio del confronto, la pazienza del crescere insieme, senza avermi dato valore, senza ascolto, senza considerare il mio comportamento nel tempo: quello stesso ascolto, quell’aiuto sincero e disinteressato che ho cercato sempre di dare, a me è stato più e più volte negato, spesso da quelle medesime persone che maggiormente lo hanno ricevuto. Quale miglior modo d’altronde di allontanarsi dalla verità che allontanare la persona che la dice o il dialogo autentico che porta verso di essa? Può sembrare un’affermazione arrogante, ma ho rifletutto a lungo e non posso che confermare tale mio punto di vista.

Tutto è merce, tutto è fugace, tutto è veloce: sembra di vivere in un incubo e invece è la terribile realtà dei nostri giorni, di come vive la maggior parte della gente.

La vita va vissuta come valore in sé, come gioia in sé, non con un fine specifico e prefissato: come si può vivere pensando che il nostro valore sia determinato dal costo dei vestiti che portiamo, dall’auto che guidiamo, dallo stipendo che prendiamo, da quanto sia avvincente il sesso con la o il partner (passione che dura al massimo qualche mese senza altruismo)? Come possiamo pensare che il nostro valore sia nell’amore che riceviamo invece che nella nostra capacità di amare? Tante persone continuano a vivere piene di illusioni, in una bolla che rapidamente scoppia, tormentate dai sensi di colpa, perché non ascoltano chi dice loro la verità, ma soprattutto non ascoltano la loro parte più vera, più genuina, quella verso il giusto e il reale. E ad ogni scoppio ricominciano da capo, senza imparare nulla, come una catena di montaggio dei sentimenti umani, in cui ogni pezzo viene replicato all’infinito, in una spirale senza fine che porta all’esasperazione, alla follia, al suicidio interiore.

Eppure l’essere umano tende naturalmente verso il bene, il miglioramento, il progresso spirituale oltre che materiale. Però perché tale sua natura emerga deve lottare oggi contro il modo di pensare della società capitalistica, in cui tutto è merce, tutto è questione di soldi, di produttività, di prevaricazione l’uno sull’altro per accaparrarsi il posto migliore, per acquistare per primi il nuovo smartphone: è tutto concorrenza, si diviene migliori non se si ammettono i propri errori, non se si è capaci di cambiare idea, ma se si ha un’idea talmente radicata da soggiogare l’altro, se non riuscendo a batterlo nel dialogo sicuramente battendolo nella capacità di diventare indifferente. Non si costruisce più insieme, non si è più in grado di relazionarsi gioiosamente.

Io non ci riesco, io non riesco ad essere indifferente, né alla signora sessantenne che cerca ancora l’avventura con il giovane plastificando il proprio corpo, persa nella propria malinconia e tristezza d’un passato costruito sulla certezza del “benavere”, ma privo di emozioni, né al giovane che pensa sia tutto una questione di denaro, sesso e potere, né all’amico che mi ha tradito o all’amore che non ha capito. Loro sono me, sono vita, nessuno esiste senza tutto. Tutto è sempre presente, è sempre interrelato, non esistono distanze, non esiste separazione.

Sono qui e ora, presente a me stesso, conscio che il mio agire può dare un contributo utile al cambiamento, pronto ad aiutare l’altro, a togliere sofferenza e dare gioia, dimostrando ancora una volta che l’essere umano non è un cancro nella natura, ma parte fondamentale dell’evoluzione della natura sulla terra.

Anche se dovessi rimanere l’ultimo a comportarmi in tal modo.

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Culture Filosofia Politica Scritti e poesie Società

La relazione maestro-discepolo secondo Gramsci

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A. Gramsci, Il linguaggio, le lingue e il senso comune (Q. III)

Questo problema può e deve essere avvicinato all’impostazione moderna della dottrina e della pratica pedagogica, secondo cui il rapporto tra maestro e scolaro è un rapporto attivo, di relazioni reciproche e pertanto ogni maestro è sempre scolaro e ogni scolaro maestro. Ma il rapporto pedagogico non può essere limitato ai rapporti specificatamente “scolastici”, per i quali le nuove generazioni entrano in contatto con le anziane e ne assorbono le esperienze e i valori storicamente necessari “maturando” e sviluppando una propria personalità storicamente e culturalmente superiore. Questo rapporto esiste in tutta la società nel suo complesso e per ogni individuo rispetto ad altri individui, tra ceti intellettuali e non intellettuali, tra governanti e governati, tra élites e seguaci, tra dirigenti e diretti, tra avanguardie e corpi di esercito. Ogni rapporto di “egemonia” è necessariamente un rapporto pedagogico e si verifica non solo nell’interno di una nazione, tra le diverse forze che la compongono, ma nell’intero campo internazionale e mondiale, tra complessi di civiltà nazionali e continentali.
Perciò si può dire che la personalità storica di un filosofo individuale è data anche dal rapporto attivo tra lui e l’ambiente culturale che egli vuole modificare, ambiente che reagisce sul filosofo e costringendolo a una continua autocritica, funziona da “maestro”. Cosí si è avuto che una delle maggiori rivendicazioni dei moderni ceti intellettuali nel campo politico è stata quella delle cosí dette “libertà di pensiero e di espressione del pensiero (stampa e associazione)”, perché solo dove esiste questa condizione politica si realizza il rapporto di maestro-discepolo nei sensi piú generali su ricordati e in realtà si realizza “storicamente” un nuovo tipo di filosofo che si può chiamare “filosofo democratico”, cioè del filosofo convinto che la sua personalità non si limita al proprio individuo fisico, ma è un rapporto sociale attivo di modificazione dell’ambiente culturale. Quando il “pensatore” si accontenta del pensiero proprio, “soggettivamente” libero, cioè astrattamente libero, dà oggi luogo alla beffa: l’unità di scienza e vita è appunto una unità attiva, in cui solo si realizza la libertà di pensiero, è un rapporto maestro-scolaro, filosofo-ambiente culturale in cui operare, da cui trarre i problemi necessari da impostare e risolvere, cioè è il rapporto filosofia-storia.

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Culture Filosofia Società Umanesimo

I migliori rapporti

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F._Scott_Fitzgerald,_1921I migliori rapporti sono quelli di cui si conoscono gli ostacoli, e che tuttavia si vogliono conservare.

Francis Scott Fitzgerald, Tenera è la notte, 1934

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Culture Filosofia Politica Scritti e poesie Società Umanesimo

Del pregiudizio ideologico

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Prima di esprimere il mio punto di vista sulla tematica che  affronto in questo articolo, ossia il pregiudizio ideologico, preferisco definire cosa io intendo per pregiudizio e cosa per ideologia, di modo da non dar adito a fraintendimenti.

pregiudìzio (ant. pregiudìcio) s. m. [dal lat. praeiudicium, comp. di prae- «pre-» e iudicium «giudizio»].

Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore.

Definizione dal vocabolario Treccani

Per quanto concerne invece la definizione di ideologia, trovo aderente al mio modo di intenderla la definizione data da Karl Marx e Frederich Engels, nel loro saggio “L’ideologia tedesca”:

L’ideologia non indica più, come per Ideologi e Illuministi, lo studio delle sensazioni e l’origine delle idee, essa per Marx indica la funzione che religione, filosofia e produzioni culturali in genere possono avere nel giustificare la situazione esistente: «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante […] Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee»

Da Wikipedia

omologazioneCredo che uno dei maggiori problemi  di comunicazione e dialogo tra esseri umani sia determinato dall’avere un potente pregiudizio ideologico. Cosa intendo con ciò?

Intendo, in parole povere che, se un’idea non viene valutata in funzione della giustezza o meno in sé per sé (ognuno con i propri strumenti culturali, messi, attraverso il dibattito, in condivisione con l’altro in un aperto confronto, il più possibile liberi da preconcetti), attraverso un dialogo tendente a costruire un’idea comune, ma viene valutata pregiudizialmente in funzione del soggetto che la esprime, non possa mai avvenire un dibattito sincero, un crescere insieme, non ci possa in definitiva essere la capacità di costruire una comunità pacifica e quindi un futuro condiviso, scegliendo nel presente le idee più sagge e giuste che riusciamo a concepire.

Se si decide di considerare un’idea corretta solo perché a dirla è stata una persona che stimiamo, sia esso un rappresentante di una corrente di pensiero, un leader politico o religioso, un nostro amico, perdiamo la nostra innata capacità critica di riflettere analiticamente sulla realtà basandosi sui fatti e su una logica lineare piuttosto che sul preconcetto: perdiamo quindi l’opportunità di scegliere ciò che è meglio in questo dato momento.

Se il nostro pensiero non evolve in funzione delle informazioni che via via riceviamo, cercando di discernere la verità dalla menzogna, se si rifiuta il dialogo per pregiudizio ideologico, si perde il senso di realtà e si finisce per aderire ad una visione stereotipata o preconfezionata senza aggiungere il nostro prezioso punto di vista. Si sminuisce quindi il proprio ruolo e la propria importanza sociale, di esseri umani comunque pensanti e emotivi, in modo diverso l’uno dall’altro, con il proprio originale e unico punto di vista, solo per la paura di trovarsi in solitudine a pensarla in un certo modo, forse derisi se non addirittura ignorati.

Eppure la storia dell’uomo ci insegna che proprio chi ha avuto il coraggio di esprimere idee liberamente (e agirne coerentemente, per dimostrare la validità e la verità delle proprie asserzioni) ha cambiato radicalmente il percorso della comunità umana.

Ghandi, Einstein, Marx, Shakyamuni, Jung, Gesù, Goethe, Steiner, tanto per citarne alcuni tra i più celebri, hanno, con il loro pensiero e la loro azione, scevri da pregiudizi ideologici, fatto evolvere il pensiero e l’agire della collettività, hanno aperto la mente a milioni di persone su ciò che è da ritenersi giusto e ciò che è da ritenersi sbagliato, mettendosi in gioco in prima persona, senza la paura di essere giudicati e/o criticati.

Dietro al pregiudizio ideologico spesso si celano le nostre paure (di vivere, di essere felici, di venir giudicati), i nostri sensi di colpa, le nostre responsabilità individuali, la nostra pigrizia, lasciando spazio ad una visione comune del mondo (anche se visione solo di una parte, anche se solo nel circolo di persone dinanzi a noi nel momento in cui ci esprimiamo) che ci rassicura e rasserena nell’immediato, ma che spesso ci porta alle peggiori soluzioni, se non, nei casi più gravi, ad essere complici o artefici delle più grandi nefandezze e scelleratezze: nascosti stupidamente dal  pensiero che “tanto ora tutti la pensano così, mi adeguo per non entrare in conflitto, così sto in pace e vengo accettato”, non riusciamo a vedere con chiarezza l’importanza e la responsabilità che assume il nostro comportamento di adesione o opposizione ad una data idea, per puro pregiudizio ideologico.

Il pregiudizio ideologico provoca un annichilimento del nostro sé, un annientamento del proprio sapere, delle proprie esperienze, in sostanza annulla il nostro essere ed esserci e poter essere determinanti nelle scelte comuni, che dovrebbero invece scaturire da un dialogo tra persone coraggiose, che non temono il giudizio altrui. Uccide, il pregiudizio ideologico, ogni possibile evoluzione del pensiero e dell’agire umano, perché distrugge la nostra innata capacità di creare soluzioni originali e innovative alle problematiche che la vita ci pone dinanzi, disintegra il nostro potere di pensare da esseri liberi e agire di conseguenza.

La società industriale probabilmente ha grandi responsabilità  nell’aver ridotto, quando non annullato, la creatività degli esseri umani, attraverso la serialità dei prodotti e dei servizi, attraverso la catena di montaggio, per mezzo dell’omologazione indotta dai mezzi di comunicazione di massa, attraverso l’avvilimento di quella parte dell’essere umano nato artigiano e artista, condottiero del proprio cuore e della propria mente.

Paradossalmente, in un presente che ci permette di comunicare con una quantità di persone impensabile fino a qualche decennio fa, immersi nella società della comunicazione, non sappiamo spesso più che dire, se non banalità, perché abbiamo paura di essere pionieri di nuove idee, di nuove attitudini, abbiamo paura che gli altri ci giudichino come folli o stupidi.

Eppure cosa c’è di più stupido dell’accettare un’affermazione come verità solo perché abbiamo deciso che la persona o la comunità che la esprime è vicina a noi, solo per spirito di appartenenza, solo per omologazione, solo per pigrizia, solo per fobia?

Il nostro vestire, il nostro mangiare, i nostri gusti, le nostre scelte, non sono più nostri, sono frutto di un pensiero comune che non critichiamo, ma a cui ci adeguiamo supinamente (seppure sgomitando per renderlo originale), inconsapevoli di cercare in un contenitore precostituito e dai confini determinati, piuttosto che nella reale sconfinatezza della nostra mente: perché  è immensamente più difficile, nel contesto in cui siamo nati e cresciuti, esprimere un’idea non convenzionale senza essere derisi, ignorati o condannati, ma se non lo facciamo perdiamo a poco a poco la nostra vitalità, la nostra creatività, la nostra socialità, quindi, in definitiva, il nostro stesso senso di esistere. E questo atteggiamento ci porta a deprimerci e ad abbandonare i nostri sogni, a smettere di lottare nel presente orientati verso il futuro, diveniamo artefici in sintesi di uno stato d’animo che cancella la speranza di un domani migliore e appagante, costruito attraverso una faticosa quotidiana lotta interiore per far emergere le nostre inimitabili qualità intrinseche. Agiamo trasportati dalle emozioni create da altri, incapaci di credere di poter vincere pur quando tutto il nostro essere ci dice di essere nel giusto.

Ma la verità più profonda è che il nostro infinito potenziale creativo, se messo in azione, può spezzare ogni catena e ogni vincolo, annientando il pregiudizio ideologico: dovunque siamo nati, in qualsiasi condizione ci troviamo, possiamo progredire verso la realizzazione di noi stessi in tutto e per tutto, possiamo costruire una felicità concreta per noi e per gli altri. Seguendo tale comportamento diventiamo noi stessi gli esseri saggi e giusti dell’umanità, diventiamo noi  i Ghandi e i Martin Luther King della nostra comunità, della nostra epoca. Per quanto possa essere faticoso, per quanto all’inizio non si venga accettati, non riesco ad immaginare un modo più gioioso, intenso e pieno di vivere.

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Società Umanesimo

La verità detta dai giovani

Tempo di lettura: < 1 minutiUn bellissimo intervento di una ragazza, che racchiude tanta saggezza e tanta verità, all’inaugurazione dell’università di Parma del 2012.

Aggiungo anche uno scritto di Aldo Moro, che condivido appieno, su ciò che dovrebbe essere l’università.

“Il problema dell’Università mi pare più di uomini che di ordinamenti… Potremmo dire, in conclusione, che l’Università va umanizzata, rendendone il rapporto d’insegnamento, ufficiale e non ufficiale, un rapporto umano, vorrei dire di amicizia nel senso più alto e nobile della parola, nel quale riesca fecondo, per la formazione della personalità, anche il più particolare apprendimento e venga messa in luce, dove appena sia possibile, la profonda umanità della scienza. Così lo studio stesso apparirà sempre caldo di vita, fatto che riguarda il profondo io del giovane e non può restare tra i suoi interessi collaterali. Che se il giovane non studia, è proprio perché non sente lo studio come cosa sua, centrale appassionante, ineliminabile. E così verrà inteso, se egli, con l’aiuto del maestro, ne verrà cogliendo ora per ora il senso umano, se il maestro saprà scendere spiritualmente almeno, e qualche volta materialmente, dalla sua cattedra, per farsi vicino al giovane, tanto che questi senta la sua umanità dolorante e pur serena, la sua comprensione per tutti e per tutte le cose… Essenziale è che il giovane senta chi insegna nell’Università come persona che gli vuole bene, lo comprende, è pronto ad aiutarlo; come uomo che apprezza la sua giovinezza e ripone in essa la sua fiducia; che si senta amato e preso sul serio”.

Aldo Moro “Problemi dell’Università” in “Al di là della politica e altri scritti”, <<Studium>> 1942-1952 (a cura di G. Campanini)

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Agricoltura Società Umanesimo

Orto Eutorto

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Tutta la differenza tra noi esseri umani si risolve nell’affermazione: c’è chi si arrende e chi no. Oggi sono andato a comprare la verdura: un gesto apparentemente banale, nulla di cui meravigliarsi, nulla di particolarmente stimolante. Ma in questo mondo che gira al contrario, sono proprio i gesti semplici, quotidiani, quelli che fanno la differenza, quelli che cambiano il mondo. Sono andato a Via Ardeatina 524, qui a Roma, all’orto auto organizzato dei lavoratori Agile ex Eutelia. Ho incontrato una signora, Gloria, insieme ad altre donne: forse ho compiuto, senza saperlo, il gesto più bello per commemorare la giornata internazionale della donna (e non festa della donna, come Gloria ha giustamente precisato), una giornata per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto in molte parti del mondo, una stupida discriminazione puramente di genere, che non ha senso di esistere. Erano tutte donne a coltivare quel pezzo di terra (finora) strappato alla speculazione e all’avidità dei costruttori romani, ridato alla collettività, all’umanità. E mi hanno invitato a manifestare con loro domani alla manifestazione nazionale qui a Roma indetta per lo sciopero generale dei metalmeccanici e delle metalmeccaniche. Mi hanno regalato una maglietta, mi hanno parlato di quanto sia bello coltivare, di quanto sia meraviglioso essere madri, della necessità di fare figli da giovani per potersi godere quanto di più bello esista al mondo, la nascita di un altro essere umano, mi hanno convinto con la loro convinzione a manifestare con loro e per loro, ma anche per tutti noi: quando un essere umano (una persona, preciserebbero le donne dell’eutorto) smette di arrendersi alla realtà attuale, ma comincia a lottare per un futuro di giustizia, non lo fa solo per sé, lo fa per tutti gli esseri viventi.

E chi si sente parte di questa umanità non può che aderire completamente ad una lotta giusta (un lavoro dignitoso, un contratto che lo garantisca), per recuperare il senso di giustizia, di verità, che ormai siamo abituati a dimenticare, a cancellare, ad addormentare.

Ieri parlavo in macchina con la mia ragazza e siamo finiti a parlare del consumismo, della follia della produzione sempre in aumento in questo modello economico fallimentare chiamato capitalismo, liberismo, neo-liberismo (il nome non cambia certo le cause che hanno motivato e motivano tanti uomini a sostenere questo sistema insostenibile e inumano, ossia l’avidità e la stupidità). E io che sono comunista convinto (da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni, diceva Marx), convinto che ancora sia necessario dialogare tra tutte e tutti su quale modello economico sia sostenibile, giusto, possibile, convinto che sia ancora un modello comunista, comunitario, l’unico eticamente corretto, ho riflettuto bene sulle due parole che distinguono in maniera netta il differente modo di vedere delle due parti: l’uso e il consumo. Oggi si parla sempre di consumo (contrazione dei consumi, impennata dei consumi), come se l’economia fosse un modello umano atto ad usurare i beni presenti su questo pianeta, sino a che tutto non finirà, in attesa dell’apocalisse che arriverà a condannare tutta la nostra malvagità. In ciò dimentichiamo che invece di consumare potremmo usare ciò che abbiamo, condividendolo e valorizzandolo: persino il letame può divenire fertilizzante per dare nuova energia e linfa, può avere un’accezione assolutamente positiva. E in questa malsana epoca di obsolescenza programmata, dove tutto sembra destinato a finire e disgregarsi per sempre, dove il futuro sembra più una condanna che un’opportunità, tornare a parlare di uso e di responsabilità individuale sulla scelta tra i due, può essere il modo per uscire da questo sistema da noi stessi creato e alimentato (con il nostro lavoro, i nostri guadagni, persino con i nostri scarti), può essere la riflessione che ci manca per tornare a stare insieme felici. L’umanità non è condannata al declino, all’estinzione: può scegliere dove andare giorno dopo giorno, persona dopo persona, può scegliere se far valere la creatività, lo spirito di servizio, la cooperazione e la solidarietà o se abbandonarsi all’ubriachezza del consumo, dell’avidità, dell’egoismo.

Tu da che parte stai, da che parte vuoi stare, cosa veramente ti rende felice? Fatti tutti i giorni queste domande e rispondi con sincerità: lo fai per te e per l’umanità tutta. E non avere paura, sii coraggioso e onesto, la risposta giusta ti darà una felicità vera, non di plastica, una felicità che sorge dal vedere con i propri sforzi il costruirsi di un futuro fatto di gioia, di persone coraggiose, di giovani felici di essere venuti al mondo, di un modello di società, di produzione, di economia, che veramente riflette la nostra vera natura, quella di essere felici di esistere: così come mi hanno insegnato oggi le splendide donne di Eutorto.

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Economia

Alcuni chiarimenti elementari sul comunismo

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Il comunismo è innanzitutto e principalmente un cambiamento del modello economico: ciò non esclude quindi che vi sia violenza in un paese ad economia comunista o tendente ad un’economia di tipo comunista (per quanto a mio parere aberrante, la violenza non è esclusa a priori dal comunismo marxista, è anzi stata più volte dichiarata come necessaria in alcune fasi storiche), come non esclude che si possa avere la massima democrazia e la massima pace sociale. La questione della violenza è questione di natura etica e non politica, a mio parere. Io ad esempio pratico il buddismo e in esso trovo le motivazioni per la mia radicale non violenza, ma non nel comunismo. Che poi un comunismo correttamente applicato nella realtà sociale produca anche minore violenza (ad esempio furti, rapine e tutti gli abusi derivati dalla rincorsa all’accumulazione di capitale diminuirebbero probabilmente, la mancanza di sfruttamento nel lavoro produrrebbe maggior pace sociale) è possibile, ma non scontato, non automatico.

Il comunismo è soprattutto un ideale di rapporti di scambio e di produzione tra gli esseri umani più giusto, più equo (a ognuno secondo i suoi bisogni, da ognuno secondo le proprie possibilità), attraverso l’eliminazione dell’accumulazione di capitale ottenuta tramite il plus-valore (ossia il plus-lavoro del lavoratore). La proprietà dei mezzi di produzione deve essere collettivizzata per poter avere una società di liberi ed eguali.

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Filosofia Politica Società Umanesimo

Le menzogne del potere 3: Obama e il sogno americano

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Obama e il sogno americano

Vi ricordate l’emozione di tutti i media all’elezione di Obama a presidente degli Stati Uniti? Doveva essere il presidente del cambiamento, del progresso, della rinascita, le solite menzogne insomma, almeno a vedere questo 2009 che volge al termine. E inaspettato è giunto anche il premio Nobel per la Pace, con lo stupore generale, ben altre persone avrebbero potuto riceverlo: ad esempio il presidente boliviano Evo Morales, che da umile indigeno è riuscito a farsi eleggere democraticamente per due volte con una schiacciante maggioranza, a riformare la costituzione proteggendo i beni comuni come l’acqua e le altre risorse, a sradicare l’analfabetismo, a ridurre le disparità sociali: andatevi a leggere la sua storia, è commovente e esemplare.

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Economia Filosofia Società Umanesimo

Tracollo e rinascita

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Siamo destinati alla catastrofe, ad uno dei peggiori momenti dell’Italia dal dopo guerra. I miei concittadini paiono non accorgersi di nulla, perché ancora non è percepibile ai più: i media mainstream sono controllati dall’oligarchica economica e politica e nascondono la realtà tale come è, ma siamo un paese con milioni di disoccupati e cassaintegrati, un’evasione fiscale corrispondente al 16% del P.I.L., una dilagante e oramai imperante corruzione, ideale terreno per le mafie, ad ogni livello, con ogni mezzo, sia nel pubblico che nel privato. Molti italiani probabilmente pensano che  il famigerato “Pacchetto sicurezza”, in analisi in Parlamento in questi giorni, sia una chiusura delle frontiere, un’ulteriore stretta nel controllo dell’immigrazione: in realtà cela una precisa volontà volta ad aumentare il controllo da parte delle mafie del traffico di clandestini. Infatti l’altro campo di grande interesse per le attività criminali è l’abusivismo edilizio, incentivato dall’attuale governo, come da molti dei precedenti. Immaginate voi cosa succederà alle case costruite abusivamente, quindi senza nessun controllo antisismico, aumentate del 20% nella cubatura, in un paese che ha il 70% del territorio in zona sismica: una strage annunciata. Ha i giorni contati un paese in queste condizioni.

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Ambiente News Politica Società

La terra trema

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Cito un grande film di Luchino Visconti per parlare di ciò che è accaduto e sta accadendo in Abruzzo. Perché la responsabilità di tante morti si sa già, per me è quasi scontato: è di quel sistema mafioso e colluso che governa l’Italia, che non ha obbligato a ristrutturare un’intera città posta sopra una faglia sismica come L’Aquila, per decenni. Leggo da questo sito:

In data 08/05/2003 è stata pubblicata su Gazzetta Ufficiale l’ordiananza relativa ai “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”.

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Filosofia Politica Società

Conseguenze

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Per ogni azione, parola o pensiero d’un essere umano si mette in moto l’intero universo. Sembrerà incredibile, ma è scientificamente dimostrato che ogni parte è in relazione inscindibile con il tutto. E quindi anche noi esseri umani non siamo che relazioni in un eterno divenire. La nostra esistenza è relazione, la nostra essenza è il tutto.

Solo che le nostre azioni hanno un potere enormemente più grande di quanto si possa immaginare, possono creare veri e propri mostri, così come meravigliose creazioni.

Già, perché tutto ha una conseguenza, tutto è una conseguenza. Nulla è destinato al caso, ma tutto  è legato (non da bensì) a scelte ben precise. E per quanto questa semplice affermazione possa portare ad un razionale rifiuto di tale complessità, ad un arrendersi al caso o al destino, il nostro essere più profondo, che non può prescindere dalla relazione, lo sa con certezza come sa che ne è responsabile.

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Società Umanesimo

duemilanove

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Ecco che un nuovo anno comincia, il 2009. Questo numero fa riaffiorare nella mia mente i romanzi di fantascienza che leggevo da piccolo, da “2001 Odissea nello spazio” di Arthur C. Clarke a “La macchina del tempo” di Herbert George Wells, all’intero “Ciclo della fondazione” di Isaac Asimov. Narrano di un avvenire ultra tecnologico, della conquista dello spazio, di psicostoria, di una più evoluta e complessa concezione della vita, ma in particolare di un futuro dove i rapporti umani sono solo una parte dell’universo conosciuto, perché non è solo la nostra specie ad esistere nel cosmo. Ed ecco che dalla fervida immaginazione di questi grandi scrittori appaiono nuove specie intelligenti, con la loro psicologia e la loro visione dell’universo spesso ben divergenti da quelle umane, ma che convivono insieme nel cosmo infinito. Il grande merito di questi narratori è stato aprire la mente verso il futuro, poterselo immaginare al di là del nostro tempo, oltre lo spazio fisico del nostro sistema solare, oltre la nostra specie.

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Società

Chegando ao Brasil (arrivando in Brasile)

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  • Sono ormai più di venti giorni che sono arrivato in Brasile, la terra di mia moglie e della sua (numerosa) famiglia. E da giorni passeggio per le vie di Rio De Janeiro, come nella Rua Prudente De Moraes, sita tra Ipanema e Copacabana nella Zona Sul, la parte più commerciale e famosa di una delle città più grandi e popolose del mondo. E’ affascinante il lungomare della città, la Avenida Vieira Souto, dove si può correre, andare in bici o in spiaggia, visibile interamente da Arpoador, un piccolo promontorio a lato della spiaggia di Copacabana. Tutti quanti mi hanno parlato dell’allegria della gente di qui, della sua ospitalità.
  • Ma la gente non è così allegra, lavora tutto il giorno per uno stipendio il più delle volte insufficiente a coprire le esigenze della vita quotidiana, nel caldo afoso soffocante del Centro. E chi non ha la fortuna di avere un lavoro, vive nelle favelas, sparse un pò ovunque, luoghi dove i trafficanti comandano e la polizia giunge il più delle volte solo per uccidere e intimidire. La Rio De Janeiro tanto decantata dalle agenzie di viaggi per chi ci vive non è questo splendore, almeno per chi non si può permettere di abitare a Leblon, a Ipanema, a Lagoa, a Copacabana o a Barra Da Tijuca, quest’ultimo quartiere dove non di rado si possono vedere tre o quattro elicotteri privati che trasportano i ricchi emergenti, dove gli Shopping Center sono grandi come interi quartieri, pedissequa copia delle città statunitensi (c’è anche una piccola statua della libertà di fronte uno di essi).
  • La sofferenza nell’osservare certe cose è ineguagliabile: vedere bambini dormire per le strade (piene di negozi inaccessibili per la maggioranza delle persone) con la maglietta vicino al naso per sniffare colla e non sentire la fame, dove tutti adorano la favela di Rocinha (la seconda più grande dell’america latina), ma solo da lontano, perché non ti ci puoi nemmeno avvicinare, protetta come è dai banditi (anche bambini) con armi da far impallidire un esercito. In questa città, in questo immenso stato (grande 28 volte l’Italia) il contrasto tra ricchezza e povertà è per la gente di qui quasi normale, tanto che il principale telegiornale della Rede Globo, equivalente della Mediaset in Italia, non ne parla più, attento più a discreditare Cuba e Venezuela con il beneplacito del 1% ricco e potente (arrivando addirittura a non parlare nemmeno per un secondo della nuova recente costituzione boliviana), piuttosto che guardare l’indescrivibile sofferenza dell’umanità di questa parte di mondo. E la classe media vive con la paura ad ogni passo di venire assaltata dai banditi, di giorno come di notte, anche nei quartieri ricchi. Puoi vedere passare accanto a te una Limousine di venti metri con i vetri scuri, con dentro cinque televisori e subito dopo un carretto portato a mano pieno di cartoni. E’ il capitalismo e l’individualismo concentrati ai massimi livelli e contemporaneamente è musica, ballo, canto, spiaggia, mare, natura. E’ tutto assieme, il limite tra il bene e il male sempre più sottile, così come il limite tra le favelas e i barrios ricchi.
  •  Ma quando è musica è musica di tutto un popolo, è l’esperienza più emozionante; giri l’angolo e ti ritrovi in un locale del quartiere di Lapa dove persone dai 16 agli 80 anni si ritrovano insieme a cantare e suonare uno chorinho o una samba e bere birra. Qui a Rio il Carnevale già è in preparazione, numerosi sono i concerti di prova per l’evento più atteso dell’anno, per quella settimana di festa e follia da cui non puoi sfuggire.