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Filosofia

Sul concetto di storia

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“Il passato reca con sé un indice segreto che lo rinvia alla redenzione. Non sfiora forse anche noi un soffio dell’aria che spirava attorno a quelli prima di noi? Non c’è, nelle voci cui prestiamo ascolto, un’eco di voci ora mute? … Se è così, allora esiste un appuntamento misterioso tra le generazioni che sono state e la nostra. Allora noi siamo stati attesi sulla terra. Allora a noi, come ad ogni generazione che fu prima di noi, è stata consegnata una ‘debole’ forza messianica, a cui il passato ha diritto.”

Walter Benjamin

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Buddismo Filosofia Società Umanesimo

Solitudine e compresenza

Tempo di lettura: < 1 minutiÈ importante saper apprezzare la solitudine, significa accettarsi così come si è, significa imparare ad amarsi.
Ma, poiché siamo compresenti insieme in questo dato momento, l’imparare ad amarci l’un l’altro è un’inesauribile fonte di crescita, un avvicinamento concreto alla realtà della vita così come è in tutta la sua grandezza, la direzione migliore verso l’armonia e la pace per il genere umano.
Quando si ama ci si trova anche in momenti di conflitto, è inevitabile: l’importante è non cambiare la nostra visione dell’amore profondo e universale solo a causa di vecchie discussioni. Saper tornare ad amarsi è ancora più importante della disillusione determinata dal conflitto.
Il presente è più importante del passato.
La nostra indifferenza anche verso una sola forma di vita è un’illusione. Tutto esiste e è interrelato con noi anche se noi non vi diamo alcuna importanza.
La vita è una rete pulsante, ogni singola forma ne è parte imprescindibile: la nostra capacità di amare ogni parte così come è significa apprezzare la vita nella sua totalità.
Non esistono persone giuste o sbagliate per noi, esistono solo persone.
E sono tutte egualmente meravigliose, con i propri talenti, i propri difetti e le proprie sfide.
Sostenerle tutte è l’impegno quotidiano di chi vive illuminato dalla comprensione profonda dei legami inscindibili che ci legano l’un l’altro.

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Culture Filosofia Politica Scritti e poesie Società

La relazione maestro-discepolo secondo Gramsci

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A. Gramsci, Il linguaggio, le lingue e il senso comune (Q. III)

Questo problema può e deve essere avvicinato all’impostazione moderna della dottrina e della pratica pedagogica, secondo cui il rapporto tra maestro e scolaro è un rapporto attivo, di relazioni reciproche e pertanto ogni maestro è sempre scolaro e ogni scolaro maestro. Ma il rapporto pedagogico non può essere limitato ai rapporti specificatamente “scolastici”, per i quali le nuove generazioni entrano in contatto con le anziane e ne assorbono le esperienze e i valori storicamente necessari “maturando” e sviluppando una propria personalità storicamente e culturalmente superiore. Questo rapporto esiste in tutta la società nel suo complesso e per ogni individuo rispetto ad altri individui, tra ceti intellettuali e non intellettuali, tra governanti e governati, tra élites e seguaci, tra dirigenti e diretti, tra avanguardie e corpi di esercito. Ogni rapporto di “egemonia” è necessariamente un rapporto pedagogico e si verifica non solo nell’interno di una nazione, tra le diverse forze che la compongono, ma nell’intero campo internazionale e mondiale, tra complessi di civiltà nazionali e continentali.
Perciò si può dire che la personalità storica di un filosofo individuale è data anche dal rapporto attivo tra lui e l’ambiente culturale che egli vuole modificare, ambiente che reagisce sul filosofo e costringendolo a una continua autocritica, funziona da “maestro”. Cosí si è avuto che una delle maggiori rivendicazioni dei moderni ceti intellettuali nel campo politico è stata quella delle cosí dette “libertà di pensiero e di espressione del pensiero (stampa e associazione)”, perché solo dove esiste questa condizione politica si realizza il rapporto di maestro-discepolo nei sensi piú generali su ricordati e in realtà si realizza “storicamente” un nuovo tipo di filosofo che si può chiamare “filosofo democratico”, cioè del filosofo convinto che la sua personalità non si limita al proprio individuo fisico, ma è un rapporto sociale attivo di modificazione dell’ambiente culturale. Quando il “pensatore” si accontenta del pensiero proprio, “soggettivamente” libero, cioè astrattamente libero, dà oggi luogo alla beffa: l’unità di scienza e vita è appunto una unità attiva, in cui solo si realizza la libertà di pensiero, è un rapporto maestro-scolaro, filosofo-ambiente culturale in cui operare, da cui trarre i problemi necessari da impostare e risolvere, cioè è il rapporto filosofia-storia.

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Società Umanesimo

Nel paese della bugia la verità è una malattia

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Il titolo dell’articolo è un noto aforisma di Gianni Rodari. Purtroppo noi viviamo nel paese della bugia, forse anche nel mondo della bugia, dove le frottole viaggiano più degli aeroplani. Ma a cosa servono le bugie? Le bugie servono a raccontare un fatto invece di un altro: se percepite come verità (la qual cosa avviene soprattutto se ripetute spesso e da molti) le bugie hanno il potere di stravolgere la realtà, di non permettere una comprensione corretta di ciò che accade. E, alla fine, producono ignoranza: se ripetute da mezzi di informazione di massa portano addirittura all’instaurarsi di una cultura dominante basata sull’ignoranza. Ma non è sufficiente la bugia per irretire le menti delle persone: perché ciò avvenga è necessario instillare, attraverso le bugie, paura, molta paura. Paura del giudizio degli altri, paura di non farcela, paura di perdere, paura della solitudine, paura di vivere, paura di morire, paura di ammalarsi, paura di invecchiare, paura di amare, paura di esprimersi, paura di cadere in povertà. L’essere umano, se immerso nelle sue paure, diventa egoista, terribilmente egoista.

La verità è insita in ogni istante, ma la si può percepire però solo se in grado di emanciparsi dalla paura. Dall’emancipazione dalla paura sorge la ricerca della verità. La ricerca della verità porta a dialogare con gli altri, a mettersi in discussione, a capire, ad ascoltare, a condividere. Porta quindi un essere umano a divenire più altruista.

L’altruismo è più difficile da praticare dell’egoismo, perché sposta il baricentro della propria attenzione (e quindi il punto di equilibrio mentale) dal singolo alla moltitudine. Anche se ciò all’inizio può sembrare sconcertante, soprattutto perché in tal modo si è esposti maggiormente ai soprusi e agli inganni dell’altro, nel tempo l’altruismo porta ad individui dal carattere forte e allo stesso tempo sensibili, empatici, capaci d’amare: ciò avviene perché dal continuo confronto con l’altro sorgono, nella condivisione, la solidarietà e, nella diversità, un’occasione di crescita ed evoluzione.

Se vogliamo un’umanità migliore, dobbiamo partire dall’insegnare ai bambini a non dire bugie, a non credere alle bugie, a riconoscerle, a smascherarle. E, per fare ciò, non dobbiamo innanzitutto dirne loro. E per non dirne loro dobbiamo emanciparci dalla paura.

Se ancora non siete convinti e pensate ancora che qualche bugia ogni tanto possa essere giustificata, dovete sapere che l’etimologia della parola “bugia” viene dal dialetto tedesco dalla parola “bausa”: significa cattiveria.

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Culture Filosofia Umanesimo

Non ho un parere

Tempo di lettura: < 1 minuti“Io non ho un parere da dare su di me. Non so se valgo o se non valgo. Anzi, francamente mi sento molto oscuro.”

Carl Gustav Jung all’età di ottanta anni.

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Culture Filosofia Politica Scritti e poesie Società Umanesimo

Del pregiudizio ideologico

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Prima di esprimere il mio punto di vista sulla tematica che  affronto in questo articolo, ossia il pregiudizio ideologico, preferisco definire cosa io intendo per pregiudizio e cosa per ideologia, di modo da non dar adito a fraintendimenti.

pregiudìzio (ant. pregiudìcio) s. m. [dal lat. praeiudicium, comp. di prae- «pre-» e iudicium «giudizio»].

Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore.

Definizione dal vocabolario Treccani

Per quanto concerne invece la definizione di ideologia, trovo aderente al mio modo di intenderla la definizione data da Karl Marx e Frederich Engels, nel loro saggio “L’ideologia tedesca”:

L’ideologia non indica più, come per Ideologi e Illuministi, lo studio delle sensazioni e l’origine delle idee, essa per Marx indica la funzione che religione, filosofia e produzioni culturali in genere possono avere nel giustificare la situazione esistente: «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante […] Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee»

Da Wikipedia

omologazioneCredo che uno dei maggiori problemi  di comunicazione e dialogo tra esseri umani sia determinato dall’avere un potente pregiudizio ideologico. Cosa intendo con ciò?

Intendo, in parole povere che, se un’idea non viene valutata in funzione della giustezza o meno in sé per sé (ognuno con i propri strumenti culturali, messi, attraverso il dibattito, in condivisione con l’altro in un aperto confronto, il più possibile liberi da preconcetti), attraverso un dialogo tendente a costruire un’idea comune, ma viene valutata pregiudizialmente in funzione del soggetto che la esprime, non possa mai avvenire un dibattito sincero, un crescere insieme, non ci possa in definitiva essere la capacità di costruire una comunità pacifica e quindi un futuro condiviso, scegliendo nel presente le idee più sagge e giuste che riusciamo a concepire.

Se si decide di considerare un’idea corretta solo perché a dirla è stata una persona che stimiamo, sia esso un rappresentante di una corrente di pensiero, un leader politico o religioso, un nostro amico, perdiamo la nostra innata capacità critica di riflettere analiticamente sulla realtà basandosi sui fatti e su una logica lineare piuttosto che sul preconcetto: perdiamo quindi l’opportunità di scegliere ciò che è meglio in questo dato momento.

Se il nostro pensiero non evolve in funzione delle informazioni che via via riceviamo, cercando di discernere la verità dalla menzogna, se si rifiuta il dialogo per pregiudizio ideologico, si perde il senso di realtà e si finisce per aderire ad una visione stereotipata o preconfezionata senza aggiungere il nostro prezioso punto di vista. Si sminuisce quindi il proprio ruolo e la propria importanza sociale, di esseri umani comunque pensanti e emotivi, in modo diverso l’uno dall’altro, con il proprio originale e unico punto di vista, solo per la paura di trovarsi in solitudine a pensarla in un certo modo, forse derisi se non addirittura ignorati.

Eppure la storia dell’uomo ci insegna che proprio chi ha avuto il coraggio di esprimere idee liberamente (e agirne coerentemente, per dimostrare la validità e la verità delle proprie asserzioni) ha cambiato radicalmente il percorso della comunità umana.

Ghandi, Einstein, Marx, Shakyamuni, Jung, Gesù, Goethe, Steiner, tanto per citarne alcuni tra i più celebri, hanno, con il loro pensiero e la loro azione, scevri da pregiudizi ideologici, fatto evolvere il pensiero e l’agire della collettività, hanno aperto la mente a milioni di persone su ciò che è da ritenersi giusto e ciò che è da ritenersi sbagliato, mettendosi in gioco in prima persona, senza la paura di essere giudicati e/o criticati.

Dietro al pregiudizio ideologico spesso si celano le nostre paure (di vivere, di essere felici, di venir giudicati), i nostri sensi di colpa, le nostre responsabilità individuali, la nostra pigrizia, lasciando spazio ad una visione comune del mondo (anche se visione solo di una parte, anche se solo nel circolo di persone dinanzi a noi nel momento in cui ci esprimiamo) che ci rassicura e rasserena nell’immediato, ma che spesso ci porta alle peggiori soluzioni, se non, nei casi più gravi, ad essere complici o artefici delle più grandi nefandezze e scelleratezze: nascosti stupidamente dal  pensiero che “tanto ora tutti la pensano così, mi adeguo per non entrare in conflitto, così sto in pace e vengo accettato”, non riusciamo a vedere con chiarezza l’importanza e la responsabilità che assume il nostro comportamento di adesione o opposizione ad una data idea, per puro pregiudizio ideologico.

Il pregiudizio ideologico provoca un annichilimento del nostro sé, un annientamento del proprio sapere, delle proprie esperienze, in sostanza annulla il nostro essere ed esserci e poter essere determinanti nelle scelte comuni, che dovrebbero invece scaturire da un dialogo tra persone coraggiose, che non temono il giudizio altrui. Uccide, il pregiudizio ideologico, ogni possibile evoluzione del pensiero e dell’agire umano, perché distrugge la nostra innata capacità di creare soluzioni originali e innovative alle problematiche che la vita ci pone dinanzi, disintegra il nostro potere di pensare da esseri liberi e agire di conseguenza.

La società industriale probabilmente ha grandi responsabilità  nell’aver ridotto, quando non annullato, la creatività degli esseri umani, attraverso la serialità dei prodotti e dei servizi, attraverso la catena di montaggio, per mezzo dell’omologazione indotta dai mezzi di comunicazione di massa, attraverso l’avvilimento di quella parte dell’essere umano nato artigiano e artista, condottiero del proprio cuore e della propria mente.

Paradossalmente, in un presente che ci permette di comunicare con una quantità di persone impensabile fino a qualche decennio fa, immersi nella società della comunicazione, non sappiamo spesso più che dire, se non banalità, perché abbiamo paura di essere pionieri di nuove idee, di nuove attitudini, abbiamo paura che gli altri ci giudichino come folli o stupidi.

Eppure cosa c’è di più stupido dell’accettare un’affermazione come verità solo perché abbiamo deciso che la persona o la comunità che la esprime è vicina a noi, solo per spirito di appartenenza, solo per omologazione, solo per pigrizia, solo per fobia?

Il nostro vestire, il nostro mangiare, i nostri gusti, le nostre scelte, non sono più nostri, sono frutto di un pensiero comune che non critichiamo, ma a cui ci adeguiamo supinamente (seppure sgomitando per renderlo originale), inconsapevoli di cercare in un contenitore precostituito e dai confini determinati, piuttosto che nella reale sconfinatezza della nostra mente: perché  è immensamente più difficile, nel contesto in cui siamo nati e cresciuti, esprimere un’idea non convenzionale senza essere derisi, ignorati o condannati, ma se non lo facciamo perdiamo a poco a poco la nostra vitalità, la nostra creatività, la nostra socialità, quindi, in definitiva, il nostro stesso senso di esistere. E questo atteggiamento ci porta a deprimerci e ad abbandonare i nostri sogni, a smettere di lottare nel presente orientati verso il futuro, diveniamo artefici in sintesi di uno stato d’animo che cancella la speranza di un domani migliore e appagante, costruito attraverso una faticosa quotidiana lotta interiore per far emergere le nostre inimitabili qualità intrinseche. Agiamo trasportati dalle emozioni create da altri, incapaci di credere di poter vincere pur quando tutto il nostro essere ci dice di essere nel giusto.

Ma la verità più profonda è che il nostro infinito potenziale creativo, se messo in azione, può spezzare ogni catena e ogni vincolo, annientando il pregiudizio ideologico: dovunque siamo nati, in qualsiasi condizione ci troviamo, possiamo progredire verso la realizzazione di noi stessi in tutto e per tutto, possiamo costruire una felicità concreta per noi e per gli altri. Seguendo tale comportamento diventiamo noi stessi gli esseri saggi e giusti dell’umanità, diventiamo noi  i Ghandi e i Martin Luther King della nostra comunità, della nostra epoca. Per quanto possa essere faticoso, per quanto all’inizio non si venga accettati, non riesco ad immaginare un modo più gioioso, intenso e pieno di vivere.

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Filosofia Politica Società

Conseguenze

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Per ogni azione, parola o pensiero d’un essere umano si mette in moto l’intero universo. Sembrerà incredibile, ma è scientificamente dimostrato che ogni parte è in relazione inscindibile con il tutto. E quindi anche noi esseri umani non siamo che relazioni in un eterno divenire. La nostra esistenza è relazione, la nostra essenza è il tutto.

Solo che le nostre azioni hanno un potere enormemente più grande di quanto si possa immaginare, possono creare veri e propri mostri, così come meravigliose creazioni.

Già, perché tutto ha una conseguenza, tutto è una conseguenza. Nulla è destinato al caso, ma tutto  è legato (non da bensì) a scelte ben precise. E per quanto questa semplice affermazione possa portare ad un razionale rifiuto di tale complessità, ad un arrendersi al caso o al destino, il nostro essere più profondo, che non può prescindere dalla relazione, lo sa con certezza come sa che ne è responsabile.

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Economia

Perché l’economia è disumana

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È vero che la borghesia soggioga oramai il lavoratore e nei modi più disparati: producendo finti desideri, precarizzando il lavoro, i diritti fondamentali. Ma, se all’interno di un paese dell’occidente possiamo ritrovare codeste dinamiche in maniera meno palese, più frammentaria, meno novecentesca quindi, con la perdita d’ogni credo, idealismo e cultura di progresso reale, nel rapporto tra paesi poveri e occidente la divisione di classe risulta in tutta la sua brutalità: noi, anche il più povero di noi, che agisce, a differenza del ceto borghese, consumando i sottoprodotti industriali che ora vengono prodotti nei paesi a basso salario, è perciò “borghese” nei confronti delle popolazioni povere.

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Società

Filosofie del presente

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Sistematicamente noi paesi occidentali tramite media, corporation, governi, cerchiamo in ogni modo di convincere la maggioranza dei cittadini che il destino dell’umanità sia condannato, in maniera indelebile, alla rovina ambientale, economica e sociale.

Ogni qualvolta si parla d’uno stato straniero non occidentale, mai vengono messi in risalto i fermenti positivi e le innovazioni sociali, giuridiche, scientifiche che questo paese apporta al progresso dell’umanità. Al contrario, per le questioni interne, vige invece la legge dell’omertà sulle responsabilità di politici, imprenditori, corpi armati, giudici, sulla sicurezza sociale interna, sui diritti basilari di sopravvivenza: dalla sanità, alla scuola, alla casa sempre le solite nenie di bilanci pubblici in rosso, buchi di miliardi da coprire e l’illegalità dilagante… Un paese come l’Italia permette che accedano a cariche pubbliche importanti, come quella di parlamentare o dirigente pubblico o privato, persone condannate per reati gravissimi rispetto proprio alla P.A. stessa. Ricordo un bellissimo documentario su Borsellino mentre parla in una scuola; il magistrato sostiene che non si possa sconfiggere la mafia se nel sistema politico e economico vi sono soggetti collusi con essa.