Povertà
- Stato di chi versa in condizioni di grave disagio economico, di ristrettezza: cadere in p., la p. di un villaggio, viveva in p.
- Reddito pro capite insufficiente
- Nella morale cattolica, distacco dai beni materiali per aspirare a una maggiore perfezione spirituale: p. evangelica
- Penuria, scarsità: p. d’acqua, p. di risorse; p. di fantasia, di idee, d’ingegno
- Scarsità di vegetazione o aridità, secchezza di un terreno: la p. di una campagna Aridità, meschinità: p. di mente, di cuore Scarso valore: la p. di un’offerta Inadeguatezza, fiacchezza di mezzi espressivi Scarsità, limitatezza di contenuti, di idee e di approfondimento critico p. di una lingua, insufficienza lessicale
Dal “Dizionario della lingua Italiana” De Mauro
- Scarsità, e mancanza delle cose, che bisognano. Lat. paupertas, egestas, inopia.
- Bocc. Introd. n. 21. Perciocchè essi, il più delle volte, o da speranza, o da povertà ritenuti, ec.
- E a voi non sarebbe onore, che vostro lignaggio andasse a povertade.
- Con povertà volesti anzi virtude.
- Fondata in casta, ed umil povertate.
- Con franca povertà serve ricchezze.
- Povertà è una menatrice, che va a salute: povertà è parte di quiete.
- E appresso. Che cosa è poverta? è odiato bene, grande avventuranza senza travaglio.
- Diciamo in proverbio. Povertà fa viltà, o vero. La poverta fa l’ huom vile.
Vocabolario degli accademici della Crusca
Miseria
- Condizione di grande povertà, di estrema indigenza: vivere nella m.; non conoscere m.: non essere in ristrettezze economiche
- Con valore interiettivo, per esprimere stupore, meraviglia o stizza, rabbia, ecc.: piantala, per la m.!
- Insieme di disgrazie, dolori e patimenti che affliggono una persona o l’umanità in generale: le miserie umane
- Condizione di estrema infelicità, di profondo avvilimento: nessun maggior dolore | che ricordarsi del tempo felice | ne la m. (Dante)
- Grettezza, pochezza, bassezza: m. morale
- Espressione artistica, letteraria e sim., priva di valore o di originalità: quel libro è una vera m.
- Somma di denaro esigua, trascurabile: mi pagano una m.!
- Cosa di poco conto; inezia, quisquilia: litigare per una m.
Dal “Dizionario della lingua Italiana” De Mauro (http://www.demauroparavia.it/)
- Infelicita, calamità. Lat. miseria, infoelicitas.
- Solo la miseria è senza invidia nelle cose presenti.
- E nov. 31. 27. Lasciate hai le miserie del Mondo, e le fatiche.
- Amm. ant. Niuna virtù è, che non abbia contrario il mal della invidia, e la sola miseria è senza invidia.
- Dan. Inf. 5. Nessun maggior dolore, che ricordarsi del tempo felice Nella miseria.
- E cant. 2. Che la vostra miseria non mi tange.
- E Purg. 20. E la miseria dell’ avaro Mida, Che seguì alla sua domanda ingorda.
- Petr. canz. 49. 1. Miseria estrema delle umane cose.
- E Son. 25. Quanto più m’ avvicino al giorno estremo, Che l’ umana miseria suol far breve.
- Per istrettezza nello spendere. Lat. avaritia.
- Per negligenza, o vero miseria di spendio s’ indugiarono. In questo significato diremmo anche, spilorcería, furfantería, ma tengono dell’estremo della miseria.
Vocabolario degli accademici della Crusca
Vorrei porre l’attenzione su questi due termini che, come molti altri purtroppo, sono tristemente usati impropriamente. Vorrebbe essere questo un inizio d’una serie di ricerche volte a capire il significato più vero e specifico delle parole al fine di rendere più agevole la comunicazione interpersonale. L’accostamento di terminologie a volte simili, a volte opposte, in questo percorso di ricerca, mi sembra necessario per dare equilibrio e chiarezza alle definizioni. In questo specifico caso vorrei porre l’accento sulla differenza tra la povertà, nel senso del disagio economico d’un individuo o d’una collettività e la miseria, nel significato di infelicità, personale o collettiva. Prendiamo l’esempio dell’attuale situazione italiana: quale dei due vocaboli ricorre più spesso nell’uso comune? Per mia diretta esperienza, credo sia la povertà ad essere maggiormente utilizzata sia dai media sia nel linguaggio comune. Andiamo quindi prima ad analizzare l’uso della terminologia usata in vari contesti e gli errori più comuni, partendo dal concetto base di “povertà”:
1. “Poveretto!(o “poverino”)”: Riferito a persona che appare soffrire di presunta indigenza economica, affaticato dalla vita e dal lavoro, che non produce il quantitativo di denari o agi desiderati; l’errore più comune nell’uso di questo vocabolo riguarda la confusione tra la povertà e la pigrizia. Le relazioni personali, oramai sempre più tendenti alla superficialità che all’approfondimento (in nome del superiore “diritto alla privacy”), spingono molti esseri umani a confondere i pigri, soggetti cioè con poco spirito d’iniziativa, con i poveretti, cioè persone che, per handicap fisici o psichici o per ignoranza, non hanno le possibilità di guadagnare denaro al fine di garantirsi i bisogni primari (cibo, casa, istruzione, vestiario). almeno a breve termine. La pigrizia oltretutto spesso viene mascherata dalla furbizia: quante volte sentiamo dire “non ho una lira” da persone che sappiamo con certezza non avere nessun problema economico. Questo avviene poiché nella nostra cultura, dandosi più importanza all’apparire che all’essere, l’individuo è portato ad usare l’apparente stato d’indigenza per nascondere la sua pigrizia o la sua avarizia. La povertà è un’altra cosa…
2. “C’è tanta povertà nel mondo”: in questo caso l’errore più frequente non riguarda tanto il concetto stesso, per altro innegabilmente vero, ma l’attenzione che si pone sull’effetto piuttosto che sulle cause. La povertà non è insita nell’essere umano, né nel pianeta terra, bensì è una conseguenza dello sfruttamento delle persone e delle risorse in maniera erronea, da parte degli esseri umani (monocolture, guerre, repressione, oligarchie economiche e/o politiche). Si potrebbe dialogare di più sullo “sfruttamento” e su come debellarlo se veramente si volesse eliminare la povertà dal pianeta.
Adesso vorrei analizzare il termine “miseria”, d’uso molto meno comune, ma di importanza fondamentale per comprendere il mondo odierno. Innanzitutto all’espressione “poveretto” il più delle volte si potrebbe sostituire “misero”, sicuramente definizione più appropriata alle tipologie di persone sopra descritte (i pigri e gli avari). La parola “miseria” non viene molto usata per motivi psicologici: si potrebbe dire che rientri nelle parole dell’odierno linguaggio considerate “nemiche”, ossia descrittive ad un punto tale di non lasciar dubbi sulla natura del soggetto od oggetto a cui vengono affibbiate, senza possibilità di ambiguità di sorta, vocaboli insomma schietti e senza ipocrisie. Eppure risulta essere il male peggiore dell’Italia (e non solo del nostro paese). E’ l’incapacità di vedere un futuro, è l’adeguarsi alla massa; è l’anonimato d’una vita mediocre, è il male dell’infelicità, della difficoltà di gioire della vita. E’ il “quieto vivere”, il “lasciar andare”, ognuno coltivando il proprio piccolo orticello nell’illusione che ciò causi la serenità. Ma per quanto si possa cercare di nascondere la verità, essa arriva sempre dirompente a rivelarsi. E allora le illusioni crollano e l’infelicità sgorga devastante. Come si può pensare che la nostra serenità possa essere slegata dal resto del mondo? Per quanto ci potremmo rinchiudere nel castello incantato dell’ipocrisia? Iniziamo allora a lottare con tutte le nostre forze contro questa terribile commistione d’ignoranza e incoscienza che ci sta attanagliando, porgendoci le mani l’un l’altro per tirarci fuori dal fango della MISERIA in cui siamo caduti.